La vacanza dei superstiti (e la chiamano vecchiaia)

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di Franca Valeri

La vacanza dei superstiti è un testo vivo, cangiante, capace di gettare luce dentro ognuno di noi, perché è scritto da chi – dopo aver vissuto con furia, allegria e coerenza un secolo, accumulando esperienze e idee – si è guadagnato un privilegio raro: una libertà radicale, di pensiero e di parola. «A distanza, vediamo ogni cosa risolta. Siamo in una comoda poltrona a chiacchierare. Non so se essere grata al destino di avermi riservato una fin de partie cosí». Seduta idealmente (ma solo idealmente) su quella poltrona, lo sguardo pronto a spostarsi in un istante dal passato al futuro, Franca Valeri dà avvio al suo racconto. Una divagazione sulla vecchiaia (la sua e quella di tutti) infarcita di storie, aneddoti, sentenze spiazzanti, pensieri bellissimi. Poco piú di cento pagine in cui si condensano tutta l’intelligenza e l’ironia sedimentate negli anni e visibili a occhio nudo come i cerchi degli alberi. Pescando qua e là: «Il fatto è che per rimpiangere la felicità ce ne vorrebbe dell’altra». «L’ansia è una malattia incurabile. Può sfociare nel mostruoso (credo che Hitler ne soffrisse) o limitarsi a riempire di rughe una signora». «Io vorrei ricordare l’ultima volta che ho fatto l’amore. La prima sí, la ricordo, ma non ha importanza ». O ancora: «Come dirglielo, a quel ragazzo ventenne, che ci è bastato essere molto sicuri delle nostre idee per entrare in quelle degli altri?» A poco a poco, veniamo catturati e scossi: perché la testa di Franca Valeri – una delle figure piú vitali del nostro Novecento – non riposa mai, ed è un patrimonio da preservare. Frase dopo frase.

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